IL CARCERE DAL VOLTO UMANO - Dal carcere surreale di Spuntrone di Puglia Stampa

di Rocco Lattarulo
Aue! Allora eccomi qua. Appena ho accettato la vostra proposta di fare l’inviato per Jailhouse rock – a proposito, per favore, i caciocavalli: quelli dolci, no piccanti – sono sceso per strada e ho dato un tuzzo a uno (sapete cos’è il tuzzo, no? ‘na capocciata): m’hanno processato per direttissima, ma non mi volevano mandare subito dentro perché ero incensurato; ho insistito tanto – che ci tenevo – ma: niente, non ne volevano sapere; e allora ho dovuto dare un altro tuzzo a buono a buono a  quello che stava a fianco a me (che poi era il mio difensore d’ufficio). A quel punto mi hanno fatto felice: sei mesi, ed eccomi qui, nel carcere di Spuntrone di Puglia. Che mi appunto le cose che vedo.
Ohh…:  qua sto già da un paio di settimane; e devo dire che è bello, mi piace proprio, perché è un carcere sperimentale,  innovativo, “dal volto umano”, come dicono alla reception. Essì perché qua è ‘na  specie di villaggio turistico, ‘nzomma. Tutto ha un volto umano. E si capisce da tante cose…

Per esempio, senti, noi stiamo in una suite che è 4 passi per 3, e già abbiamo capito che ci hanno messi comodi: che per fare quattro passi non devi manco uscire.  E stiamo in quattro, anzi in quattro e mezzo (poi vi spiego). Ma siamo contenti, perché è la tipica cella dal volto umano: cioè, come ti giri e ti giri, c’è un volto umano: altro che la solitudine e le chiacchiere... La suite, poi c’ha proprio tutto, sembra un castello: letti a castello, la sedia a castello, i cessi a castello…
Giusto che tra i letti c’abbiamo un problema al trampolino della piscina (eh, la pozzanghera di umido), e che al campo da golf s’è otturata qualche buca (che a terra ne stanno 18 di buche): ma metteremo tutt’apposto…   Però l’aria è condizionata: è condizionata dal fatto che siamo quattro: ma basta che prima respirano i detenuti pari, poi quelli dispari, e abbiamo risolto.
Con me ci stanno Pino, Gino e Mino. Piano piano li sto a conoscere. Per cominciare, ognuno c’ha un soprannome. Mino è tranquillo, tranquillissimo: c’ha la depressione, non vuole fare
mai una mazza, e sta sempre coricato, steso sulla branda: e infatti lo chiamano Marlon Branda. Lui si fa gli appartamenti. E’ un lavoro, proprio, ed è un gran lavoratore. Per dire, è uno che dice: “io
quest’estate accompagnavo la famiglia al mare, andavo a ‘lavorare’, e tornavo a prenderli”. Capi’?
Poi c’è Gino, che sta qui per spaccio. E’ meglio tenerselo amico, che c’ha i contatti giusti qua dentro (per dire: è lui che m’ha procurato il cellulare). E poi Gino c’ha i nervi, e sembra sempre incazzato, aggressivo. Dicono che è per quella polverina bianca nella stagnola - n’zomma, la cocaina - che tante volte gli arriva, sotto sotto. Sarà... Comunque a Gino lo chiamano BiancaNeve (e lui si incazza ancora di più). E poi c’è Pino. Che lo chiamiamo Pino, ma veramente è marocchino, e c’ha un nome che non si capisce niente. Dice due-tre cose in italiano, parla poco, ma capisce. E sorride sempre, c’ha gli occhi buoni. Sta qua perché raccoglieva i pomodori nel foggiano, e un giorno ha sfraganato di mazzate il caporale. L’altro giorno gli hanno scoperto il soprannome pure a lui, sotto la doccia: sapete come si chiama mò? FinePeneMai.
A proposito, a me invece, per il soprannome, m’hanno sgamato subito: io so’ l’infiltrato.
Ho detto prima che siamo quattro e mezzo perché qui, al carcere dal volto umano, ti lasciano pure gli animali da compagnia. Con noi sta Chicca. È una magnotta, uno scarafaggio, e vive con noi. Se l’accudisce Marlon Branda, che gli ha fatto pure la cuccia nella scatola del formaggino. Mo’ in questi giorni gli sta finendo il guinzaglio, col filo di cotone: dice che vuole fare un’impresa, la vuole portare fuori nell’ora d’aria (‘mo non sappiamo se l’impresa è Marlon Branda che si alza, o... vabbè)
Insomma, siamo questi qua. Me’, mo’ s’è fatto tardi. Le prossime volte vi parlerò delle cose “dal volto umano” che succedono qua dentro. Eh? A sfazzione.

Cià cià cià cià

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