Grateful Dead Stampa

Subire ben due arresti collettivi non è cosa da tutti. È capitato ai Grateful Dead, la band che più di ogni altra ha incarnato il senso comunitario della cultura hippy. Il 2 ottobre 1967 la polizia fece irruzione al 710 Ashbury Street di San Francisco. Era qui che i Grateful Dead avevano il loro quartier generale. Era qui, come noto a chiunque, che vivevano e lavoravano insieme. Era qui che avevano dato vita alla loro comune. Quasi tutti furono prelevati e portati al fresco. Una soffiata fu presumibilmente all’origine del raid. Jerry Garcia la scampò. Non altrettanto accadde a Phil Lesh, Bob Weir e Ron “Pigpen” McKernan. L’accusa era quella di possesso di marijuana. Alla band fu chiaro, come denunciato in una conferenza stampa andata in onda su una televisione locale, il valore di intimidazione simbolica dell’incursione e degli arresti. Un’intimidazione rivolta ai giovani che frequentavano la loro casa comune e all’intero universo hippy. L’esperienza dell’arresto collegiale si ripeté il 31 gennaio 1970. In quei giorni soggiornavano in un albergo di Bourbon Street, nel quartiere francese di New Orleans. La sera del 31 gennaio fecero rientro da un concerto tenuto al Warehouse. La polizia fece irruzione nell’albergo e arrestò diciannove persone per possesso di droghe. Oltre alla band quasi al completo, finirono in cella tecnici e collaboratori vari. I Grateful Dead pagarono la cauzione e uscirono dopo poche ore. Erano ridotti al verde. La sera successiva suonarono nuovamente al Warehouse. Un cestino passò tra il pubblico per raccogliere, in spirito comunitario, qualche spicciolo. Quasi tutte le accuse finirono nel niente. Ma l’episodio rimase memorabile.

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