Ray Charles Stampa

Il 15 marzo del 1961 al Bell Auditorium della città di Augusta, in Georgia, era programmato un concerto di Ray Charles. Questo concerto non si tenne mai. Facciamo un passo indietro: il 17 maggio 1954 la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva emesso la storica sentenza Brown contro il Board of Education. Tredici genitori di venti bambini della città di Topeka, in Kansas, avevano tutti insieme con una class action fatto causa all’ufficio scolastico di Topeka. Brown era il primo nome in ordine alfabetico. Linda Brown era una bambina nera cui nel 1951 avevano rifiutato l’iscrizione in una scuola per soli bianchi, costringendola a frequentare un’altra scuola ben più lontana dal suo domicilio. Lo Stato del Kansas permetteva nelle grandi città di creare scuole separate. Varie cause simili a quella relativa a Linda Brown erano state raggruppate e la sentenza diceva che la segregazione razziale nelle scuole pubbliche era incostituzionale. Quando uscì la sentenza Brown, si arrivò a gridare all’imbastardimento della razza umana cui avrebbe portato il mettere insieme bambini bianchi e neri che forse da grandi si sarebbero sposati. Nel 1956, come reazione alla sentenza, 101 congress men meridionali firmarono il Southern Manifesto, il Manifesto del Sud. Due di questi erano Repubblicani e ben 99 erano Democratici, quei Southern Democrats, Democratici del sud, che più di tutti erano stati in passato favorevoli alla schiavitù e che adesso facevano fatica a estendere ai neri i diritti civili. Tra i firmatari c’erano intere delegazioni parlamentari. Tra queste, l’intera delegazione parlamentare dello Stato della Georgia. Cinque anni dopo, ancora in questo clima, c’è il concerto programmato al Bell Auditorium di Augusta per il 15 di marzo del 1961 e mai realizzato. Ray Charles venne a sapere che il suo concerto sarebbe stato segregato: da una parte i bianchi, nella comoda platea immediatamente di fronte al palco, e da un’altra i neri, sugli spalti. Disse all’organizzatore dell’evento che ciò non aveva senso e che l’unica segregazione che poteva averne era quella inversa: il popolo nero più vicino a lui e i bianchi più lontani. L’organizzatore non voleva saperne e insisteva che il concerto fosse segregato. “Fammi causa, io non suono”, gli disse. E non suonò. Il promoter gli fece causa e Ray Charles la perse. Dovette pagare una salatissima multa e fu bandito dal suo Stato natale, la Georgia. Però quel giorno mise una pietra importante sulla strada della conquista dei diritti civili dei neri. Ci sono voluti ben diciotto anni. Il 7 marzo del 1979 lo Stato della Georgia gli ha chiesto scusa. Lo ha invitato all’Assemblea Generale, il Parlamento, in una cerimonia a ricordo delle battaglie per i diritti civili. Lui si è seduto al pianoforte e ha cantato la sua famosissima versione di Georgia on my mind, il brano che pochi giorni dopo, il 24 di aprile di quell’anno, per volere unanime dell’Assemblea è diventato l’inno ufficiale dello Stato Americano della Georgia.

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