Il 26 maggio del 1992 Patty Pravo varcò i cancelli del carcere femminile di Rebibbia. Era stata la Guardia di Finanza a portarla lì. Il pubblico ministero non aveva dubbi: il fatto è grave. Così, alle nove e mezza di sera, entrò in galera e venne collocata nella sezione di isolamento, come disposto dal magistrato. L’accusa era quella di spaccio di droga. Fra hashish e marijuana, nella sua casa non ce n’era tuttavia che dieci grammi o poco più. “Ho capito una cosa”, affermerà una volta riacquistata la libertà. “Se non ti chiami Patty Pravo e non hai quattro soldi per un avvocato, per una storia del genere in prigione ci resti seppellito, senza sapere a chi chiedere aiuto”. Racconterà di aver alloggiato in “una cella sporca, ignobile. Bisognerebbe che qualcuno andasse là dentro a vedere”, dirà. Trascorse tre giorni in quella prigione. Le detenute di Rebibbia le rimasero nel cuore. Prima di andarsene, le aveva salutate a modo proprio. Aveva interpretato per loro e per le agenti Ragazzo triste. Detenute e poliziotte avevano cantato con lei. “È stato così, passando davanti ad ogni cella chiusa”, racconterà, “che ho salutato quelle che per due giorni e tre notti sono state le mie compagne di sventura”. Il carcere aveva, a suo dire, un’ottima acustica. “Magari si potessero fare due o tre giorni al mese, in carcere. Incontri storie, persone incredibili. Un’umanità coinvolgente. Capisci che i veri farabutti non stanno dentro”. Patty Pravo è stata con noi in questa puntata di Jailhouse rock.
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Lunedì 5 ottobre del 1967, alle 5 del mattino, circa duecento persone bloccarono gli ingressi del centro di arruolamento della città di Oakland, in California. Verso le 13.00 dello stesso giorno nella vicina San Francisco un certo David Harris parlava a una folla di più o meno duemila persone. Un cestino fu fatto passare tra la gente. David Harris diceva che era arrivato il momento di scegliere: o si era complici di omicidio oppure si era fuorilegge. Il cestino continuava a girare tra la folla, fino a che non ritornò pienissimo di carte. Nel 1967 la guerra del Vietnam era cominciata da molti anni, così come il coinvolgimento degli Stati Uniti d’America. Dentro gli Usa cresceva intanto l’opposizione a questa guerra. Era la prima volta che le persone comuni venivano a conoscenza in maniera così dettagliata di quanto accadeva in una guerra che coinvolgeva gli Stati Uniti. Nascevano in quegli anni i cosiddetti “underground papers”, giornali indipendenti che hanno avuto un ruolo enorme nello sviluppo della controcultura hippy-rock e nel movimento di opposizione alla guerra del Vietnam. Cosa c’era in quel cestino pieno fino all’orlo in quel giorno di ottobre del 1967? C’erano le cartoline di reclutamento militare che tanti giovani sceglievano di rifiutare per protesta. David Harris chiamava all’obiezione. Più di mille persone rifiutarono il reclutamento in giro per gli Stati Uniti. Il 20 di ottobre le cartoline furono tutte insieme riconsegnate al ministero della Giustizia. A Oakland si registrarono i disordini maggiori di quella settimana di protesta che va sotto il nome di ‘Stop the Draft Week’. Circa 4.000 persone avevano invaso le strade della città. Da San Francisco erano arrivati rinforzi di polizia, ci furono degli scontri. David Harris fu arrestato. Nella prigione californiana di Santa Rita, non lontano da Oakland, conobbe la sua futura moglie, Joan Baez. Anche lei era stata arrestata, insieme a una settantina di altre donne tra cui sua madre, mentre tentava di impedire ai precettati di entrare nel centro di arruolamento di Oakland.
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In un giorno imprecisato dell’anno 1963, al numero 201 di W. Commerce Street nella città di Aberdeen, Mississippi, arrivò una lettera. Nel marzo dell’anno precedente Bob Dylan aveva pubblicato il suo primo album. In pochissimi sapevano dell’esistenza di Bukka White, un bluesman delle radici, l’autore della quinta traccia dell’album dal titolo Bob Dylan. John Fahey e l’amico Ed Denson, vedendo che tra le sue composizioni ce n’era una dal titolo Aberdeen, Mississippi, decisero di partire da lì per rintracciarlo. Dopo il suo nome e cognome scrissero tra parentesi “old blues singer”, vecchio cantante blues. Indirizzarono il messaggio usando il servizio di fermo posta. La lettera lo raggiunse e Bukka White tornò al blues. Fu riscoperto e visse una seconda vita. Tra il 1937 e il 1940 era stato in carcere alla Parchman Farm per aver sparato a un uomo. E lì era arrivato John Lomax, cui la Library of Congress aveva affidato il compito di registrare la strepitosa tradizione musicale degli Stati del sud. Con noi a Jailhouse rock Elisabetta, che chiede la verità su suo figlio entrato lo scorso luglio a 28 anni nel carcere di Trento e morto lì dentro il 29 di ottobre.
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Il 21 febbraio 2012, nella cattedrale del Cristo Salvatore a Mosca, le Pussy Riot cantano la loro preghiera punk. Invocano la liberazione da Vladimir Putin, che pochi giorni dopo tornerà ai vertici del potere. Oggi due ragazze del gruppo che hanno preso parte alla protesta sono ancora in carcere per scontare una condanna a due anni di reclusione. Una di esse, Nadia, è stata mandata in una prigione della Siberia dopo che aveva portato avanti uno sciopero della fame per denunciare le condizioni di detenzione in Russia. Con noi a Jailhouse rock Raffaella Ruggiero, madre di Cristian D’Alessandro, imprigionato in Russia assieme ad altri attivisti di Greenpeace per un blitz di protesta contro una piattaforma della compagnia russa Gazprom.
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Il 14 settembre del 2004, a tre anni dall’attentato alle torri gemelle, Yusuf Islam, che un tempo firmava i suoi album con il nome di Cat Stevens, venne arrestato dalla polizia statunitense dopo che il volo 919 della United Airlines proveniente da Londra e diretto a Washington fu dirottato dalle autorità di sicurezza americane verso il Maine, nell’aeroporto di Bangor. Gli altri 279 passeggeri, dopo quattro ore di incertezza e di paura, ripresero la rotta per Washington. Si stava recando negli Stati Uniti per partecipare a un convegno organizzato dall’Islamic Association of North America. Fu trattenuto una notte in cella a Bangor, interrogato e rispedito a Londra. Il suo nome era in una watch list, in una lista nera di persone fiancheggiatrici o finanziatrici del terrorismo di matrice islamica, quello di Al Qaeda. Alcuni sospetti, nessuna prova. Ma erano sufficienti i primi affinché gli si impedisse di mettere piede in America. Fu invocata la sicurezza nazionale, senza che alcun reato gli fosse imputato. “Con tutto il rispetto per Cat Stevens”, affermò Colin Powell, allora segretario di Stato del presidente Bush, “è in una watch list e non può entrare negli Stati Uniti”. Il portavoce della segreteria di Stato, Garrison Courtney, sostenne che vi erano ragionevoli e molteplici prove del suo coinvolgimento in attività terroristiche. Esse però non sono mai state mostrate, né sono divenute oggetto di un processo. A Jailhouse rock con noi in questa puntata Moni Ovadia.
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In seguito a un’incursione della polizia a Redlands, la tenuta di Keith Richards, il padrone di casa fu arrestato insieme a Mick Jagger per aver violato la normativa contro la droga. Una festa tra amici portò a un processo famoso per le proteste che suscitò nel mondo della musica e tra la gente in generale. In un notissimo editoriale, The Times sostenne che si volevano comminare condanne esemplari a esponenti dell’ambiente trasgressivo per antonomasia. Il rock andava contro i valori costituiti e i valori costituiti reagivano. Con noi a Jailhouse rock Michael Pergolani, storico conduttore radiofonico e non solo, che la scorsa settimana al Salone dell’Editoria Sociale si è esibito in un reading su Keith Richards e che ha vissuto a lungo il rock londinese dalla capitale britannica negli anni ’60 e ’70.
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Il 19 febbraio del 1982, poco dopo le tre del pomeriggio, Ozzy Osbourne scoprì all’improvviso di dover fare una grande pipì. Era uscito dal suo albergo a San Antonio, nel Texas, per scattare un po’ di fotografie. Si appartò e trovò un sasso che gli sembrava adeguato allo scopo. Era completamente vestito da donna. La moglie gli aveva nascosto i vestiti per impedirgli di uscire a comprare dell’alcol. Ma la cosa non lo aveva trattenuto. Aveva indossato quelli di lei e si era allontanato ugualmente dall’albergo nel quale i due alloggiavano. Si era scolato una quantità non indifferente di cognac. Purtroppo quel sasso non era un sasso qualunque: era l’Alamo, il simbolo dell’indipendenza texana. “Se pisci sull’Alamo allora pisci sullo Stato del Texas”, pare gli disse il poliziotto che arrestò lo storico cantante dei Black Sabbath.
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Il gruppo rock francese dei Noir Désir è stato un gruppo di protesta, fortemente impegnato. Ha suonato un rock alternativo, con evidenti influenze punk. Il leader del gruppo Bertrand Cantat è autore di testi che guardano fortemente alla letteratura, alla poesia, di cui è grande amante e conoscitore. La storia di Cantat ha colpito l’intera Europa. Una tragedia avvenuta esattamente dieci anni fa. L’attrice Marie Trintignant, figlia del famosissimo attore francese Jean-Louis, nel luglio del 2003 si trovava a Vilnius per lavoro. A quel tempo era da circa un anno e mezzo la compagna di Cantat. Lui la raggiunse per stare con lei. La sera del 26 luglio i due litigarono nella stanza dell’albergo dove alloggiavano. Una lite di gelosia. Litigano violentemente, lui la colpisce, lei cade per terra, sbatte più volte la testa. Ma ci fanno meno caso di quanto avrebbero dovuto. Forse vanno perfino a dormire. I medici vengono chiamati varie ore dopo la lite. La mattina del 27, una domenica, la scoperta è tremenda. Marie Trintignant è in coma. La portano in un ospedale lituano dove la sottopongono a due interventi al cervello. Ma è evidente che non ci sia più nulla da fare. Evidente al punto che la famiglia sceglie di riportarla in Francia con un volo privato per farla morire nel suo Paese. Il primo di agosto del 2003, infatti, a 41 anni la donna muore in una clinica vicino Parigi. Bertrand Cantat è condannato a otto anni di carcere per omicidio. Il prossimo 18 novembre uscirà un album del musicista assieme al suo nuovo gruppo, i Détroit. L’album si chiama Horizons ed è stato anticipato dal singolo Droit dans le soleil.
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Nel novembre del 1976 fu arrestato davanti ai cancelli di Graceland, la villa di Elvis Presley a Memphis. Voleva entrare, ma il re del rock non voleva riceverlo. Se Jerry Lee Lewis non è mai stato in carcere per la nota storia della moglie ragazzina che tanti problemi ha causato alla sua carriera, lo è stato invece per questo episodio, uno dei più famosi dell’aneddotica rock. Dietro le sbarre, nella stessa galera, due giorni prima era stato suo padre, allora quasi ottantenne, e vi era appena uscito. Era stato arrestato per guida in condizione di ubriachezza. Buon sangue non mente. Oggi Jerry Lee è al suo settimo matrimonio. Con noi, in questa puntata a lui dedicata, Beppe Carletti, storico fondatori dei Nomadi, grande gruppo italiano che festeggia il suo cinquantennio di vita. Carletti ha prodotto Matthew Lee, giovane e scatenato pianista nostrano che ha aperto concerti del gruppo e che si ispira a Jerry Lee Lewis.
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