Il 3 luglio del 1971 al Vigorelli di Milano si è tenuto il loro unico concerto in Italia, durato pochi minuti e interrotto dalle cariche della polizia.“Quella sera credemmo di morire”, dirà poi Robert Plant. “Fummo costretti ad abbattere una porta per rifugiarci nei camerini. Quando cercammo di recuperare gli strumenti, scoprimmo che era stato tutto distrutto. Non verremo mai più a suonare in Italia”. E non si può dire che non siano stati di parola. Saranno sedici le persone arrestate quella sera. Il Velodromo sarà ridotto una rovina. Decine i feriti. Ma soprattutto, in pochi minuti, si concentrerà un pezzo fondamentale della storia politica e di quella musicale del Novecento, un secolo che le ha viste incrociate, avvinghiate, annodate. In quei pochi momenti si leggeranno gli scontri di classe, la lotta tra la musica italiana popolare e quella venuta da fuori, la contrapposizione tra i movimenti e le forze di polizia. Con noi in questa puntata di Jailhouse Rock è stato il magistrato Riccardo De Vito, presidente di Magistratura Democratica.
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“In viaggio sì ho viaggiato per ore. Giorni. Mesi. Anni. Secoli su e giù nei metri di una cella e di un cortile all’ora d’aria e poi… poi uscito di lì… su e giù per le montagne in silenzio. Noi abbiamo fatto parte degli ammutoliti, quelli che hanno perso il diritto e la volontà di parola. Siamo state le ultime reclute di un secolo rivoluzionario… A voi oggi… spetta… un altro mondo, un altro tempo”. Sono parole di Erri De Luca nel suo racconto “Tu non c’eri”. È’ stato Piero Pelù, nel film di Cosimo Damiano Damato tratto dal racconto, a dare il suo volto al padre che marcava la sua assenza verso il figlio. Quel film lo abbiamo visto insieme nel carcere femminile di Rebibbia. C’erano le detenute, c’era Antigone e Jailhouse Rock, c’era il regista, c’era Erri De Luca e c’era Piero Pelù, che con una chitarra scordata e di fortuna ha suonato alcune canzoni della sua grande rock band. Nell’anniversario della morte di Antonio Gramsci, con noi a Jailhouse Rock è stato Nerio Naldi, professore di Economia alla Sapienza di Roma e studioso della vita di Gramsci.
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Nel carcere romani di Regina Coeli sono passate tante persone. Quel carcere racchiude tante cose. Ma più famosa di ogni altra è uno scalino. E “chi nun salisce quello nun è romano”. Tra tutti coloro che hanno cantato quello scalino c’è Gabriella Ferri, una delle grandissime voci di Roma che ha cantato tante volte il mondo del carcere. Con noi a Jailhouse Rock un’altra grande interprete dello stornello romano, Elena Bonelli.
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All’inizio degli anni ‘50 del Novecento, la sera nelle case di Cleveland, nell’Ohio, i ragazzi ascoltavano alla radio di nascosto sotto le lenzuola il Moondog rock and roll house party, del dj Alan Freed. Freed mandava tanta musica rythm and blues. Ma, per superare la separazione razziale e per promuovere quella stessa musica per un pubblico bianco, semplicemente le cambiò nome. La chiamò ‘rock and roll’. Tra le canzoni che Alan Freed per primo passò per radio c’erano quelle di Chuck Berry. Il suo nome più di quello di chiunque altro viene abbinato al nome del rock and roll. Ci ha lasciati nei giorni scorsi all’età di 90 anni. L’omaggio di Jailhouse Rock a un grandissimo della musica.
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I Prisonaires, stupratori, ladri e assassini, diventati famosi grazie al blues e al gospel. Erano in cinque, nella prigione di Nashville. Sono stati una banda di detenuti. Lo Zomba Prison Project, il cui disco è stato candidato nella categoria del miglior album di world music nel 2016. Un band dal carcere della città di Zomba, in Malawi. I Presi per caso, nati nel carcere romano di Rebibbia alla fine degli anni ’90. E poi, naturalmente, la Freedom Sounds, la grandissima band del carcere milanese di Bollate che da tanti anni collabora con Jailhouse Rock. Una puntata dedicata alle band penitenziarie, dove i nostri amici da Bollate ci hanno raccontato in prima persona cosa significa la musica dentro e fuori il carcere. E da oggi una nuova rubrica: il radioracconto del graphic novel “Antigone. 25 anni di storia italiana visti da dietro le sbarre” (edizioni Round Robin), realizzato a puntate dai detenuti del polo universitario del carcere di Torino.
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Da sempre impegnato in una visione del mondo pacifista e ambientalista, nel settembre del 1981 prese parte alla grande manifestazione di protesta contro la centrale nucleare di Diablo Canyon che si tenne nella Contea di San Luis Obispo, in California. La protesta durò diversi giorni. Gli arresti superarono abbondantemente le mille unità. Anche lui finì in manette. Il 28 marzo del 1979 c’era stato il drammatico incidente nucleare di Three Mile Island. E certo in tanti non erano contenti di questo nuovo impianto. Anche nel mondo della musica. Dopo l’incidente di Three Mile Island un gruppo di musicisti aveva dato vita al Muse. L’acronimo significava Musicians United for Safe Energy. Jackson Browne era in prima linea nel Muse e nelle battaglie ambientaliste e antinucleari.
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Da sempre impegnato in una visione del mondo pacifista e ambientalista, nel settembre del 1981 prese parte alla grande manifestazione di protesta contro la centrale nucleare di Diablo Canyon che si tenne nella Contea di San Luis Obispo, in California. La protesta durò diversi giorni. Gli arresti superarono abbondantemente le mille unità. Anche lui finì in manette. Il 28 marzo del 1979 c’era stato il drammatico incidente nucleare di Three Mile Island. E certo in tanti non erano contenti di questo nuovo impianto. Anche nel mondo della musica. Dopo l’incidente di Three Mile Island un gruppo di musicisti aveva dato vita al Muse. L’acronimo significava Musicians United for Safe Energy. Jackson Browne era in prima linea nel Muse e nelle battaglie ambientaliste e antinucleari.
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Il 3 giugno del 1983 Jim Gordon, grandissimo batterista negli anni ’60 e ’70 che suonava con i Derek and the Dominos di Eric Clapton, aveva chiarissimo il proprio compito. Le voci gli indicavano tutto quello che doveva fare. In quel caso, procurarsi un martello, scegliere un bel coltellaccio da macellaio, affilarlo per bene. Poi prendere la macchina e percorrere le circa cinque miglia che dividevano la sua abitazione nella zona di Van Nuys, a Los Angeles, da quella di sua madre, a nord di Hollywood. Era pomeriggio. Suonò alla porta, ma nessuno rispose. Non era in casa. Tornerà. Lui si rimise alla guida e percorse le stesse cinque miglia in direzione opposta. Si fece sera, le undici passate. Sarà sicuramente rientrata. Riprese la macchina e di nuovo percorse le cinque miglia. Le voci gli avevano spiegato bene cosa fare. Prima un colpo di martello, così non soffrirà quando verrà uccisa dalla coltellata. Lei aprì la porta. Immaginate quell’istante, lì sulla soglia, un secondo, forse due, gli occhi negli occhi, madre e figlio, una signora ultra settantenne in pantofole e capelli grigi, un uomo neanche quarantenne, alto e di bella presenza. Poi, per lei, più niente. Jim Gordon è oggi dimenticato in un carcere per malati psichiatrici da oltre tre decenni. Con noi a Jailhouse Rock è stata Ester Morassi, il cui figlio ventiduenne, che soffriva di disturbi mentali, si è suicidato alcuni giorni fa nel carcere romano di Regina Coeli, dove certo non avrebbe dovuto trovarsi.
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Nella primavera del 1977 Bob Marley fu arrestato a Londra per possesso di marijuana. Si trovava nella città inglese dopo che nel dicembre dell’anno precedente qualcuno tentò di ucciderlo sparandogli con armi da fuoco a volto coperto presso la sua abitazione. Due giorni dopo avrebbe dovuto partecipare a un grande concerto che doveva servire a stemperare la tensione della guerra civile che in quegli anni insanguinava l’isola. Salì ugualmente su quel palco. Quando gli fu chiesto perché lo avesse fatto nonostante il rischio che correva, lui rispose: “perché le persone che cercano di far diventare peggiore questo mondo non si concedono un giorno libero… Come potrei farlo io?!”. Con noi a Jailhouse Rock è stato Bunna, membro fondatore degli Africa Unite.
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