Parigi, durante gli anni dell’occupazione nazista, veniva considerata come una sorta di centro ricreativo, luogo di riposo e di svago dai soldati che volevano donne, alcol e tanta musica. Il jazz era una musica assai popolare. Ma, orrore!, era la musica della peggiore contaminazione razziale. I nazisti ritenevano che mettesse insieme il peggio dei neri e degli ebrei. Era una musica vietata. Si rischiava di essere spediti in un campo di concentramento se solo si veniva sorpresi ad ascoltare una registrazione jazz. Ma il jazz svagava i soldati in cerca di divertimento. Si decise così che si poteva suonare, ma solo rispettando delle rigide regole naziste. Imposizioni che Django Reinhardt doveva seguire quotidianamente. Era tra i più noti musicisti jazz di Parigi. Ma quando i nazisti gli chiesero di effettuare una tournée in Germania, decise di scappare. Più volte tentò di attraversare il confine con la neutrale Svizzera. Il 24 novembre del 1943 venne arrestato da guardie svizzere e rispedito indietro. Il Paese dà rifugio agli ebrei e ai prigionieri politici, gli dissero. Non agli zingari. Con noi a Jailhouse Rock è stato Elton Kalica, autore del libro “La pena di morte viva” (Meltemi Editore).
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Lo scorso dicembre ha organizzato una serata di note e di lotta al Teatro San Raffaele di Roma. Una serata a più voci, con grandi musicisti del jazz italiano. Una serata dal titolo “Jazz fuori Casa”, che ha coinvolto anche il mondo del cinema. Una serata a sostegno della Casa Internazionale delle Donne, che rischia lo sfratto dalla Giunta comunale. A parlare della sua musica e di molto altro, Nicky Nicolai è stata oggi con noi a Jailhouse Rock.
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Il più grande chitarrista di sempre secondo la rivista Rolling Stone, la chitarra elettrica non sarà mai più la stessa dopo di lui. Una carriera breve ma intensissima, stroncata dalla morte a ventisette anni, che lo vede in quel Club 27 insieme a troppi altri artisti vissuti solo fino a questa età. Per evitare il carcere, Jimi Hendrix si arruolò nell’esercito, dal quale fu cacciato alla prima occasione.
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È tristemente nota la vicenda che ha portato in carcere Bertrand Cantat, fondatore del gruppo. Nel luglio del 2003, litiga violentemente con la sua compagna, l’attrice Marie Trintignant, figlia del famosissimo attore francese Jean-Louis Trintigant. È una lite di gelosia. Lui la colpisce, lei cade per terra, sbatte più volte la testa. Lì per lì ci fanno meno caso di quanto avrebbero dovuto. Forse i due vanno anche a dormire. Fatto sta che i medici vengono chiamati varie ore dopo la lite. La mattina del 27, una domenica, la scoperta è tremenda. Marie Trintignant è in coma. Morirà pochi giorni dopo. Con noi a Jailhouse Rock Maria Soler, componente della piattaforma International trial Watch, ha parlato del processo davanti al Tribunal Supremo di Madrid agli indipendentisti catalani.
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Il cantante degli Animals Eric Burdon se la vide brutta la mattina del febbraio ’65 a New York mentre faceva colazione nella lobby del suo albergo. Hilton Valentine, il chitarrista della band, aveva cominciato a uscire con una ragazza. E questa ragazza aveva un fratellastro. E questo fratellastro non era contento neanche un po’ che la sua sorellastra se la facesse con una rock star. E se la prese con lui, che non c’entrava nulla. Mentre stava mangiando la sua colazione, l’uomo gli posò una mano sulla spalla. Lui si girò. “Posso ridurti in poltiglia”, fu la frase che si sentì rivolgere. Ed era vero. Poteva davvero ridurlo in poltiglia. L’uomo cui la mano apparteneva, l’uomo la cui sorellastra aveva un flirt con il chitarrista della sua band, l’uomo che non era affatto contento che la sua sorellastra avesse un flirt con un chitarrista, l’uomo che si ergeva davanti a lui nella lobby dell’albergo di New York dove stava facendo colazione era…. Cassius Clay. Già noto allora come Muhammad Alì. Burdon si conquisterà il suo diritto a comparire su Jailhouse Rock qualche anno dopo, nel 1982, quando verrà arrestato in Germania per possesso di cocaina. Con noi a Jailhouse Rock Stefano Stortone, coordinatore del progetto di bilancio partecipativo presso il carcere di Bollate per l’associazione BiPart.
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Il 31 gennaio del 1985 Harry Belafonte venne arrestato mentre manifestava contro il regime dell’apartheid di fronte all’ambasciata sudafricana a Washington. Il governo del Sud Africa lo aveva dichiarato persona non gradita fin dall’inizio degli anni ’60, da quando lui aveva cominciato ad aiutare esuli sudafricani. I giornalisti lo accusarono di essere un radical chic. Lui risposte che avrebbe avuto tante altre cose più belle da fare piuttosto che volare fino a lì, affrontare la pioggia, correre alla manifestazione e farsi arrestare. Anche in Italia l’espressione radical chic è usata troppo spesso e troppo impropriamente. Ne abbiamo parlato a Jailhouse Rock con chi è un vero radicale, Riccardo Magi, parlamentare di Più Europa ed esponente di spicco dei Radicali Italiani.
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Il 19 febbraio del 1982, poco dopo le tre del pomeriggio, Ozzy Osbourne scoprì all’improvviso di dover fare una grande pipì. Era uscito dal suo albergo a San Antonio, nel Texas, per scattare un po’ di fotografie. Si appartò e trovò un sasso che gli sembrava adeguato allo scopo. Era completamente vestito da donna. La moglie gli aveva nascosto i vestiti per impedirgli di uscire a comprare dell’alcol. Ma la cosa non lo aveva trattenuto. Aveva indossato quelli di lei e si era allontanato ugualmente dall’albergo nel quale i due alloggiavano. Si era scolato una quantità non indifferente di cognac. Purtroppo quel sasso non era un sasso qualunque: era l’Alamo, il simbolo dell’indipendenza texana. “Se pisci sull’Alamo allora pisci sullo Stato del Texas”, pare gli disse il poliziotto che arrestò lo storico cantante dei Black Sabbath.
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Siamo nel carcere di Venezia. Corre l’anno 1457. C’è un uomo, nel buio, seduto sopra un masso di marmo. Qualcosa, qualcuno gli si avvicina… “Uno s’avanza!... ha gigantesche forme!...”. È uno spettro. Tiene qualcosa con la mano sinistra…. “Il reciso suo teschio ferocemente colla manca porta!... A me lo addita... e colla destra mano mi getta in volto il sangue che ne cola!...”. Ma sì! L’uomo seduto sul marmo lo riconosce: è il fantasma di Francesco Bussone, detto il Carmagnola, il condottiero accusato di tradimento e condannato a morte dal Consiglio dei Dieci, che governava la Repubblica di Venezia. Il 5 maggio del 1432 al Carmagnola era stata tagliata la testa. Quella testa che oggi il suo fantasma, che ancora si aggirava nella cella, portava con la mano sinistra, mentre con la destra gettava il proprio sangue addosso all’uomo prigioniero. Quell’uomo, Jacopo Foscari, era il figlio del Doge Francesco Foscari. “Non maledirmi, o prode, se son al Doge figlio; de’ dieci fu il Consiglio che a morte ti dannò!”. Quel Doge che attende anche lui di conoscere la decisione del Consiglio dei Dieci su suo figlio accusato di omicidio da innocente. “Me pure sol per frode vedi quaggiù dannato, e il padre sventurato difendermi non può...”. Tanto equa è la giustizia veneziana, che consente anche di condannare il figlio di un Doge. L’opera di Giuseppe Verdi su libretto di Francesco Maria Piave I due Foscari ha debuttato al Teatro Argentina di Roma nel novembre del 1844.
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Una delle voci più influenti del panorama reggae mondiale, l’artista giamaicano è stato arrestato nel 1998 e l’anno successivo condannato a quindici anni di carcere, diventati in appello dodici, per stupro, rapina e possesso di arma da fuoco. Si è sempre dichiarato innocente. In molti gli hanno creduto. In molti hanno pensato che gli ingiusti procedimenti giudiziari della Giamaica avessero influito nella condanna. In molti si sono mobilitati per la sua liberazione. È uscito di galera in parole dopo otto anni. Dal carcere ha pubblicato tre album.
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